Il Teatro e il Benessere
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“Vivere alla grande” era un film degli anni '70, che aveva per protagonisti tre amici. Tre anziani che, stanchi di trascorrere gli ultimi anni tra noia, panchine, malattie, canzonature e assenza di sogni, decidono di dare di nuovo un ritmo e una musica alla loro vita. Ideano insieme una rapina in grande stile, l'organizzano, la attuano. La prospettiva è quella di godersi la vita, dopo tanti anni di sacrifici. Quando arriva il fatidico giorno qualcosa non va per il verso giusto.
Nel film il riappropriarsi di una condizione di attori, di protagonisti della propria vita passa attraverso un eccesso, un estremismo che è destinato a causare un fallimento ma che peraltro, in un verso opposto, caratterizza la vita di gran parte di anziani e di persone affette da patologie che comportano disabilità motorie e/o cognitive: un eccesso di demotivazione a vivere, una caduta precipitosa di senso in una società modellata ancora sul mito della produzione e della riproduzione.
Le persone in difficoltà, da una parte, sono sovente soggette a processi di emarginazione e di isolamento che non fanno che amplificare il senso di solitudine che spesso già vivono nella loro condizione e, dall'altra, è forte il rischio di autoescludersi a loro volta, in una doloroso ripiegamento sulla malattia e sulla impervia accettazione della sensibile diminuzione della propria autonomia fisica, psicologica e relazionale.
La malattia e la sua cronicizzazione impongono un cambiamento radicale di vita che almeno agli esordi è vissuto prevalentemente come un arresto totale di vita, uno scompaginamento in cui sembra difficile attivare risorse, un groviglio di ansie e paure in cui l'ombra dei disturbi di umore è sempre presente.
Tale evento coinvolge totalmente la famiglia che necessità di un supporto forte per imparare, a sua volta, ad accettare, a prendersi cura, a viaggiare accanto, a trovare nuove motivazioni e prospettive.
Per quanto complessa e certamente non lineare l'unica strada possibile è quella di un cambiamento di rotta, della necessaria consapevolezza di un altro sguardo, di un altro sentire, che possano affrontare la malattia con l'intento di non rassegnarsi a una inevitabile degenerazione o passiva convivenza e di ricercare, piuttosto, stimoli, passioni, reti relazionali per una nuova qualità della vita.
Sappiamo che i maggiori sintomi delle malattie neurogenerative riguardano il controllo qualitativo del movimento, che è influenzato dall’elaborazione degli stimoli sensoriali, dalla memoria e dalle emozioni.
Un'esperienza teatrale, pertanto, se integrata nell'insieme delle attività riabilitative, può considerarsi un efficace strumento all'interno di una riabilitazione multifunzionale.
Un percorso teatrale non ha certo i poteri taumaturgici suscitati nel film dall'idea simbolica della rapina ma sicuramente lavora, nel tempo, a riattivare potenzialità, risorse, desideri, memoria anche laddove l'oblio sembra regnare incontrastato.
Si basa sul “far fare” che non è puro attivismo ma stimolo a mobilitare le proprie capacità, scoprire interessi, sviluppare processi di socializzazione, di comunicazione, di gratificazione.
Tra gli obiettivi contempla la socializzazione, la valorizzazione delle competenze e capacità, la stimolazione dell'autonomia fisica e psicologica, dell' autostima così prepotentemente compromessa dalle modificazioni imposte dalla malattia, la stimolazione dell'espressività, la valorizzazione del passato e dei propri bagagli esistenziali, la prevenzione e la gestione delle attività residue.
Il laboratorio teatrale è una sorta di spazio sospeso il cui intento è depositare, appena vi si accede, la quotidianeità delle azioni e del pensiero soprattutto, per esplorare uno spazio-tempo extraquotidiano, segnato fortemente dalla ricerca di ritualità dalla scoperta di un linguaggio differente nelle relazioni, dalla sorpresa della trasformazione di se e degli altri, dalla tensione a recuperare, ciascuno secondo le proprie modalità e possibilità una dimensione emozionale, relazionale.
Attraverso il teatro, in particolare attraverso il lavoro sulla creazione di un personaggio, è possibile entrare e costruire storie e identità differenti dalle proprie ma che, inevitabilmente, hanno comunque una stretta relazione, è possibile presentarsi agli altri a prescindere dalla malattia ma con una propria, originale, creazione, è possibile soprattutto sperimentare insieme ai compagni e, laddove si attuino altre scelte, insieme ai famigliari e/o operatori, un cerchio di attenzione, di solidarietà, di incoraggiamenti reciproci, di costruzione di una impresa comune che crea un respiro collettivo, che mette in contatto con i propri limiti ma nel contempo con le proprie risorse, che mira a riattivare quelle parti sane per contrastare la mortificazione della malattia.
Michalis Traitsis
Balamòs Teatro
"Storie in bilico", 2015
"Funamboli", 2016
"Altrove", 2017
"Che cos'è l'amor", 2018
- Locandina
- Articolo "Il teatro e il benessere" 2018 - Teatri delle Diversità
- Articolo Redattore Sociale 05_10_2019 - Malattie neurodegenerative il teatro per uscire dall'isolamento
- Il Resto del Carlino 03 10 2019 - Il teatro e il benessere
- La Nuova Ferrara 03 10 2019 - Il teatro e il benessere
Foto di Andrea Casari